Pubblichiamo di seguito un articolo di Simonetta Piezzo, presidente della Marco Pietrobono Onlus contenente riflessioni e aggiornamenti sulla legge sull’omicidio stradale.
Fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 2013, in ricordo di Marco, scomparso in un grave incidente stradale a soli 26 anni, la Marco Pietrobono Onlus si è battuta con tenacia e continuità per affermare l’importanza della sicurezza stradale e per divulgare, principalmente presso scuole di ogni ordine e grado, le regole fondamentali da seguire per evitare incidenti.
In tale ottica ci siamo mobilitati, tra l’altro, insieme ad altre Associazioni, per ottenere l’approvazione da parte del Parlamento della legge sull’omicidio stradale (legge n. 41 del 2016), avvenuta nel 2016. A circa tre anni dall’entrata in vigore, credo necessario analizzare alcuni aspetti “problematici”.
Ad esempio, dal 2016 in poi, diversi giudici hanno sollevato dubbi di costituzionalità di alcune parti della norma. Sul tema, la Corte Costituzionale, con decisione del 20 febbraio 2019, ha valutato la legittimità costituzionale della citata legge n. 41 del 2016, che, introducendo il delitto di omicidio stradale e quello di lesioni personali stradali gravi o gravissime, ne ha inasprito le sanzioni.
La legge ha superato il vaglio di costituzionalità con riferimento al divieto, per il giudice, di considerare prevalente o equivalente la circostanza attenuante speciale della “responsabilità non esclusiva” dell’imputato (che comporta la diminuzione della pena fino alla metà) rispetto alle concorrenti aggravanti speciali previste per questi reati, tra cui la guida in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Ciò significa che le cosiddette “attenuanti generiche”, che di solito incidono sulla diminuzione della pena, non possono essere applicate nei casi di guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti. La Corte, infatti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 222 del Codice della strada che prevede l’automatica revoca della patente di guida in tutti i casi di condanna per omicidio e lesioni stradali. In particolare, i giudici costituzionali mentre hanno riconosciuto la legittimità della revoca automatica della patente in caso di condanna per reati stradali aggravati dallo stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica per l’assunzione di droghe, hanno escluso, nelle altre ipotesi di condanna per omicidio o lesioni stradali, l’automatismo e riconosciuto al giudice il potere di valutare, caso per caso, se applicare, in alternativa alla revoca, la meno grave sanzione della sospensione della patente. La Corte, quindi, ha agito su uno dei cardini della legge (la revoca “automatica” della patente per chi causa un incidente con morti o feriti gravi), accettando il divieto di bilanciare con l’attenuante del concorso di colpa le aggravanti in caso di guida sotto l’effetto di alcool e droga.
Inoltre, come rileva purtroppo, “Il Sole 24ore” in un dossier pubblicato il 5 marzo u.s., la legge sull’omicidio stradale “potrebbe finire ancora al vaglio della Corte costituzionale”. Non si può, infatti, escludere che, considerati i dubbi che vengono spesso sollevati nel corso dei processi, altri articoli della legge siano sottoposti al vaglio della Consulta.
Se il punto fermo della citata decisione della Corte consiste nella conferma che “causare un incidente con morti o feriti gravi, perché ci si è messi al volante sotto l’effetto di alcol o droghe è una condotta sintomatica di pericolosità ben più intensa di quella di chi causa lo stesso incidente perfettamente lucido”, ma per un’infrazione meno grave, una contestazione che sta emergendo abbastanza di frequente, consiste nella procedibilità d’ufficio del reato di lesioni stradali gravi. La legge delega 103/2017, che prevedeva la procedibilità a querela di parte per i reati contro la persona puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sembra comunque consentire tale procedura, che il Governo all’epoca dell’approvazione ha deciso di conservare, basandosi sul presupposto che il reato in questione comporti sempre un’incapacità per infermità della persona offesa, che alcuni criticano nelle aule, soprattutto “perché una lesione giudicata guaribile in meno di due mesi non sembra effettivamente produrre effetti tout court invalidanti. Senza considerare che, in un’ottica deflattiva, e di composizione del conflitto tra persona offesa e imputato, la procedibilità a querela di parte appare un forte incentivo al risarcimento dei danni in tempi rapidi”. Un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale, in tal caso, potrebbe riguardare l’eccesso di delega.
Da ultimo, il citato dossier osserva che un altro punto “critico” possa essere rappresentato dall’ omicidio stradale semplice, previsto dall’articolo 589-bis del Codice penale: secondo gli estensori del dossier, sembrerebbe chiaro che, “ai fini della determinazione della pena rilevante per decidere dell’ammissibilità all’istituto della sospensione del procedimento con la messa alla prova, si debba considerare l’attenuante speciale prevista dal comma 7 della medesima norma, ovvero quella che prevede un dimezzamento di pena in caso di responsabilità «non esclusiva» dell’imputato”.
Tutto ciò conferma la preoccupazione che, come Associazione abbiamo già espresso in passato (Alatri, Convegno del 5 maggio 2018), circa la diffusa impressione che l’obiettivo principale della legge, derivante dalla domanda di giustizia proveniente dai cittadini, dalle associazioni dei familiari delle vittime della strada e dall’opinione pubblica, che lamentavano una vera e propria lacuna normativa, in considerazione della sostanziale ineffettività della pena prevista per l’omicidio colposo, come era prima, possa essere disatteso e gradualmente depotenziato e vanificato a colpi di sentenze.
Per questo le Associazioni e la nostra Onlus con loro, devono tornare a farsi sentire, per prevenire questa negativa e pericolosa deriva, che potrebbe progressivamente riportare l’assetto normativo alla situazione precedente in cui, di fatto, le vittime della strada, morti e feriti, non ricevevano giustizia. Ricordiamo che, fino agli anni 2000, quando ancora non vi era stata una forte sensibilizzazione civile e mediatica sul tema delle morti sulla strada, questo tragico fenomeno veniva affrontato prevalentemente sul piano delle regole di comportamento della circolazione stradale. In seguito, la risonanza mediatica delle morti sulla strada e la diffusione del tragico fenomeno, soprattutto tra i giovani, avevano determinato l’insoddisfazione e l’insofferenza dell’opinione pubblica, con riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per l’omicidio colposo considerato troppo mite, quantomeno nel minimo della pena. In via generale, il problema della scarsa incisività della sanzione penale era ricondotto alla circostanza che l’applicazione dell’omicidio colposo aggravato dalla violazione delle regole del codice della strada, presentava un minimo di pena troppo basso, vale a dire due anni di reclusione che, il più delle volte, si trasformava nella commutazione della pena detentiva in sanzione pecuniaria o in altra sanzione alternativa (o si applicava comunque la sospensione condizionale della pena). A ciò si aggiunga una serie di istituti processuali che determinavano un livellamento verso il basso delle pene applicate ed il frequente riconoscimento delle attenuanti generiche, che rendevano di fatto irrilevante la pena comminata, spesso con conseguente scarcerazione del colpevole.
Questo non deve accadere. Vigileremo perché non succeda, affinché si faccia un decisivo passo in avanti, focalizzando la questione sul piano della prevenzione, attraverso la diffusione di buone pratiche e promuovendo nuove tecnologie al servizio della sicurezza stradale. Se è vero che la legge 41/2016 contiene prevalentemente una finalità repressiva nei confronti di chi ha violato diverse disposizioni in materia di circolazione stradale, anche sotto effetto di alcool o di sostanze stupefacenti, da cui sia derivata la morte o le lesioni di una persona, è però mancata una corrispondente strategia preventiva rispetto al fenomeno che si intende debellare.
Dobbiamo batterci perché il processo normativo, iniziato con la legge 41/2016, sia completato con l’approvazione di nuove leggi, che prevedano, ad esempio, sanzioni drastiche per chi usa il telefonino alla guida e limitino l’annullamento di quelle a carico di chi viene “beccato” dall’autovelox.
I dati raccolti dalle forze dell’ordine portano ad individuare nella sicurezza stradale un tema fondamentale: siamo convinti che il pericolo vero sia la distrazione determinata dalla tecnologia, dai telefonini e dagli smartphone.
Non è però questo l’unico problema.
Dopo la legge, non è arrivato più nulla. Stop alla proposta, che pure era stata messa in campo, della sospensione della patente alla prima volta che ci veniva beccati con il cellulare in mano, mentre si è alla guida. Il nuovo codice della strada, con molte prescrizioni sulla sicurezza, non ha fornito risposte convincenti.
E se rilevazioni recenti indicano nei controlli a tappeto effettuati dalla polizia stradale, anche al fine di impedire le terrificanti “stragi del sabato sera”, un efficace mezzo di prevenzione, è evidente che non può venir meno il ruolo di tutte le istituzioni preposte, che debbono affiancare con determinazione l’attività svolta dalle forze dell’ordine, che certo non può essere vanificata dall’assenza di interventi normativi adeguati e dalla continua attenzione al fenomeno, molto diffuso, dell’azzeramento delle sanzioni irrogate.
In una recente intervista riportata da “Metro” e “Leggo” lo scorso 8 aprile, il dirigente della sezione di Roma e Provincia della Polizia Stradale, Fulvio Farina, ha individuato, in particolare nell’azione svolta sul Grande Raccordo Anulare di Roma (l’autostrada ANAS più trafficata d’Italia, con 165.000 veicoli al giorno – di cui 10.000 pesanti – e 42 svincoli), il fattore determinante nella diminuzione degli incidenti stradali, rilevando come l’attività di controllo svolta con le nuove tecnologie risulti particolarmente efficace nella repressione e nella prevenzione di comportamenti fuori dalle regole (tablet che consentono la consultazione di banche dati per controllare la regolarità delle persone e dei veicoli, sia dal punto di vista assicurativo, che in relazione alla revisione dello stesso; telelaser, autovelox e Vergilius, che permettono di effettuare controlli sul rispetto della velocità. Etilometro e precursori, strumenti che supportano la verifica dello stato di alterazione da alcool e droga dei conducenti dei veicoli).
Aggiungiamo a detti strumenti, l’utilizzo di semafori intelligenti, strisce pedonali a led, limiti di velocità decisamente più bassi nei centri urbani.
Abbiamo anche la tecnologia dalla nostra parte, quella della tutela delle vittime e dei loro famigliari, usiamola in modo massiccio, per proteggere i più deboli.
Non dobbiamo abbassare la guardia.
La Marco Pietrobono Onlus non lo farà.
Noi saremo sempre dalla parte delle vittime, dei loro famigliari e della prevenzione. Dalla parte della sicurezza stradale. Ci batteremo per questo obiettivo in tutte le sedi competenti, anche monitorando con continuità l’applicazione della legge.
Non ci arrendiamo all’indifferenza ed al silenzio.
Simonetta Piezzo, Presidente della Marco Pietrobono Onlus
Aprile 2019